Negli ultimi giorni, Donald Trump appare visibilmente infastidito. Il solo nome di Jeffrey Epstein sembra provocargli un’irritazione che non passa inosservata. Intorno a lui, il sospetto cresce: tra i sostenitori del movimento MAGA serpeggia l’idea di un insabbiamento, forse per proteggere proprio il leader stesso. Sotto pressione, il 12 luglio 2025 Trump pubblica un post su Truth Social. Ma il messaggio, invece di chiarire, diviene un boomerang. Elogia l’FBI e il Dipartimento di Giustizia, proprio mentre sono accusati di aver gestito in modo opaco il caso Epstein. Poi accusa la “sinistra radicale” di non aver diffuso i file, chiedendo:
Perché questi lunatici della sinistra radicale non hanno pubblicato i file Epstein? Se c’era QUALCOSA lì dentro che avrebbe potuto danneggiare il movimento MAGA, perché non l’hanno usato?
Una domanda che tradisce due incongruenze: Trump sa bene che nei file potrebbero comparire anche esponenti democratici, come Bill Clinton, che lui stesso ha più volte ha accostato all’isola di Epstein. E soprattutto, si distanzia semanticamente se stesso da quei documenti, citando solamente un generico “danneggiamento del movimento MAGA”, come se temesse di esserne coinvolto direttamente. Ma la confusione aumenta. Nel post, Trump afferma anche che i files sono una fabbricazione dei Democratici, contraddicendo sia la sua base che acclamava un loro rilascio, sia le la versione di FBI e il Dipartimento di Giustizia, mentre ora ne ammette l’esistenza, seppur in versione contraffatta dagli avversari politici. Le contraddizioni iniziano a essere davvero troppe, e a queste, se ne aggiunge anche un’altra che riguarda uno dei suoi pilastri difensivi nell’immaginario comune: secondo i suoi sostenitori infatti, fu proprio lui ad allontanare Epstein da Mar-a-Lago, per ragioni morali. Ma le testimonianze raccontano altro. La rottura risalirebbe al 2004, un anno prima delle indagini ufficiali su Epstein, e sarebbe legata a una disputa immobiliare. Un dettaglio che smonta anche l’ultimo tassello del racconto difensivo.
L’amicizia di lunga data con Jeffrey Epstein oggi è un’eredità molto scomoda per Donald Trump, che ha cercato di prendere le distanze dichiarando che Epstein non era una persona degna del suo rispetto. Nel luglio del 2019, Trump ha affermato davanti alle telecamere di averlo cacciato dal suo club a Mar-a-Lago:
Jeffrey Epstein non mi piaceva e ieri avete sentito dire che l’ho cacciato da un club. Non volevo averci niente a che fare. E’ successo tanti anni fa. Questo dimostra che ho buon gusto! Altri invece ci andavano in giro, andavano sulla sua isola, dappertutto, era molto conosciuto a Palm Beach. La sua isola, qualunque isola fosse, ovunque sia, io non ci sono mai stato, scoprite chi ci andava, ma Jeffrey Epstein non era una persona che rispettavo. L’ho cacciato via
In realtà i fatti raccontano un’altra storia. Nel novembre del 2004, fu una disputa immobiliare da 41 milioni di dollari a segnare la rottura dell’amicizia fra Trump ed Epstein. Al centro della vicenda, una villa storica conosciuta come Maison de l’Amitié, all’epoca appartenente al magnate Abe Gosman che aveva dichiarato bancarotta. La proprietà, al 515 North County Road di Palm Beach, venne messa all’asta presso il tribunale fallimentare di West Palm Beach nel novembre 2004. L’immobile era una delle più costose residenze private della zona, composta da oltre 60.000 piedi quadrati, 18 camere da letto, una piscina interna, una esterna e un’affaccio fronte oceano tra i più vasti dell’isola. Secondo quanto riportato, Epstein si mostrò da subito interessato all’acquisto della villa. Poco prima dell’asta, il finanziere invitò Donald Trump a visitare l’immobile e chiese all’amico un parere sullo spostamento della piscina. Questi dettagli vengono riportati dal biografo di Trump Michael Wolff nel libro “Siege: Trump Under Fire”.

Nel novembre 2004, ad esempio, Jeffrey Epstein, il finanziere poi coinvolto in uno scandalo che coinvolgeva prostitute minorenni, accettò di acquistare dalla bancarotta una casa a Palm Beach, in Florida, per 36 milioni di dollari, una proprietà che era sul mercato da due anni. Epstein e Trump erano stati amici intimi – playboy in armi, per così dire – per oltre un decennio, e Trump si era spesso rivolto a Epstein per i suoi caotici affari finanziari. Poco dopo aver negoziato l’accordo per la casa a Palm Beach, Epstein portò Trump a vederla, chiedendogli consiglio sui problemi edilizi legati allo spostamento della piscina.
Ma mentre si preparava a finalizzare l’acquisto della casa, Epstein scoprì che Trump, che all’epoca era gravemente a corto di liquidità, aveva offerto 41 milioni di dollari per la proprietà e l’aveva acquistata da Epstein tramite un’entità chiamata Trump Properties LLC, interamente finanziata da Deutsche Bank, che aveva già in carico un numero considerevole di prestiti in sofferenza alla Trump Organization e a Trump personalmente. Epstein sapeva che Trump aveva prestato il suo nome in transazioni immobiliari, ovvero, per un compenso elevato, Trump avrebbe fatto da prestanome per mascherare la reale proprietà in una transazione immobiliare. (Questa era, in un certo senso, un’altra variante del modello di business di base di Trump, che consisteva nel concedere in licenza il suo nome per immobili commerciali di proprietà altrui). Epstein, furioso, certo che Trump stesse semplicemente facendo da prestanome ai veri proprietari, minacciò di rivelare l’affare, che stava ricevendo ampia copertura sui giornali della Florida. La lotta si fece ancora più aspra quando, poco dopo l’acquisto, Trump mise la casa in vendita per 125 milioni di dollari. Ma se Epstein conosceva alcuni dei segreti di Trump, Trump conosceva anche alcuni dei suoi. Trump vedeva spesso il finanziatore nell’attuale casa di Epstein a Palm Beach, e Trump sapeva che Epstein riceveva visite quasi ogni giorno, e da molti anni, da ragazze che aveva assunto per fargli massaggi, spesso a lieto fine – ragazze reclutate nei ristoranti locali, negli strip club e, anche, nella Mar-aLago di Trump. Proprio mentre l’inimicizia tra i due amici aumentava a causa dell’acquisto della casa, Epstein si ritrovò sotto inchiesta da parte della polizia di Palm Beach.

Michael Wolff ne parla anche durante un’intervista dell’11 luglio 2025 con la direttrice creativa del The Daily Beast, Joanna Coles. La competizione fra i due amici dunque prevalse e il giorno dell’asta, il 15 novembre 2004, Trump, presente telefonicamente attraverso rappresentanti legali, superò Epstein con un’offerta finale pari a 41,35 milioni di dollari e si aggiudicò Maison de l’Amitié. Trump, orgoglioso dell’acquisto, ha parlato della villa in questione in una puntata del suo show “The Apprentice”, nell’ultimo epsiodio della terza stagione nel maggio 2005. Secondo fonti giornalistiche e documentazione giudiziaria, pochi giorni dopo l’asta, nel novembre 2004, Trump lasciò due messaggi vocali a Epstein ai quali non ci furono risposte. Da quel momento, ogni contatto diretto fra i due terminò. La proprietà acquistata da Trump venne in seguito ristrutturata e rimessa sul mercato. Nel 2008, Trump la vendette per 95 milioni di dollari a Dmitry Rybolovlev, un oligarca russo.
Parallelamente, sempre alla fine del 2004, la polizia di Palm Beach ricevette la prima segnalazione anonima su Epstein e l’indagine si sviluppò nei mesi successivi. Epstein sospettava che fosse proprio Trump l’autore della ‘soffiata’ su di lui.
Acosta e il patteggiamento per l’asset del Mossad
Alle contraddizioni si aggiungono le anomalie. Nel marzo del 2005, la polizia di Palm Beach aprì ufficialmente un’indagine nei confronti di Jeffrey Epstein per accuse legate ad abusi sessuali su minori. Le autorità locali condussero operazioni sotto copertura e raccolsero testimonianze da diverse ragazze. Nel frattempo, l’FBI avviò un’inchiesta federale che portò alla raccolta di un dossier dettagliato su presunti reati seriali. Il materiale investigativo includeva prove dirette e documentazione sulle attività svolte presso le residenze di Epstein. Nonostante le testimonianze di decine di vittime minorenni, invece di incriminare Epstein direttamente, il Procuratore distrettuale di Palm Beach, Barry Krischer, scelse di portare il caso davanti a un Gran Giurì, una mossa insolita che avvantaggiava Epstein e non le vittime.
Il 24 settembre 2007, Alexander Acosta, allora Procuratore degli Stati Uniti per il Distretto Sud della Florida, approvò un Non-Prosecution Agreement (NPA). L’accordo prevedeva che Epstein evitasse procedimenti federali in cambio di un patteggiamento con lo stato della Florida. Il finanziere si dichiarò colpevole di due capi d’accusa minori. Ricevette una condanna a 18 mesi, scontandone solo 13 con permesso di uscire dal carcere 6 giorni a settimana per 12 ore ed altri incredibili favoritismi. Il NPA garantiva inoltre immunità ad Epstein e ai suoi collaboratori potenziali complici, sollevandoli da ogni responsabilità penale futura per i fatti allora noti. Questo accordo fu tenuto segreto alle vittime, in violazione della legge federale sui diritti delle vittime, il Crime Victims’ Rights Act.

Nel febbraio del 2017, Alexander Acosta venne nominato da Donald Trump come Segretario del Lavoro degli Stati Uniti. Durante il processo di conferma al Senato, alcuni senatori chiesero chiarimenti sulla gestione del caso Epstein e Acosta difese la propria decisione.
In una delle riunioni con il team di transizione della presidenza Trump, secondo la ricostruzione della giornalista Vicky Ward, Acosta avrebbe affermato di essere stato informato che Epstein apparteneva ai servizi segreti e che sarebbe stato meglio lasciar perdere. Victoria Penelope Jane Ward è una scrittrice, giornalista investigativa, commentatrice televisiva, Senior Reporter alla CNN ed ex direttrice di riviste e quotidiani, figurando nella classifica dei best seller del New York Times. Ward ha seguito per anni le vicende di Epstein.
Aveva concluso l’accordo di non accusa con uno degli avvocati di Epstein perché gli era stato “detto” di farsi da parte, che Epstein era al di sopra del suo livello di competenza. “Mi è stato detto che Epstein ‘apparteneva all’intelligence’ e di lasciar perdere”, aveva detto ai suoi intervistatori durante la transizione di Trump, i quali evidentemente avevano pensato che fosse una risposta sufficiente e avevano provveduto ad assumere Acosta.
Nel luglio del 2019, dopo l’arresto di Epstein a New York con nuove accuse, Acosta tenne una conferenza stampa per difendere la sua gestione del caso del 2007. Il 12 luglio 2019, sotto crescente pressione pubblica e politica, annunciò le dimissioni da Segretario del Lavoro. Nello stesso anno, il Dipartimento di Giustizia avviò una revisione interna della gestione del caso Epstein da parte dell’ufficio di Acosta. Il rapporto finale, pubblicato nel novembre 2020, concluse che Acosta aveva mostrato “scarso giudizio” ma non commise violazioni disciplinari tecnicamente sanzionabili. Riguardo il legame fra Epstein e i servizi, Acosta ha confermato in una dichiarazione pubblica del 2019 che c’erano state “notizie in tal senso” e segnalazioni.
Trump augura ‘ogni bene’ alla trafficante di minori
Il 16 luglio 2025, rispondendo alle domande dei giornalisti alla Joint Base Andrews, il Presidente ha dichiarato:
Non capisco perché il caso Jeffrey Epstein dovrebbe interessare a qualcuno. È roba piuttosto noiosa, è squallido, ma è noioso e non capisco perché continui. Penso che solo le persone cattive, comprese le notizie false, vogliano continuare una cosa del genere

Il sospetto che Trump ‘non capisca’ o cerchi di minimizzare la situazione sorge anche ascoltando l’intervista ad Axios del 31 luglio 2020. Ignorando in modo quasi surreale la gravità delle accuse, Trump ha spiegato e ribadito il suo augurio di “ogni bene” alla trafficante di minori Ghislaine Maxwell:
Tutto questo riguarda il suo ragazzo che è morto, è morto in prigione. E’ stato ucciso? E’ stato un suicidio? Sì lo faccio, le auguro ogni bene
Il 14 luglio 2025 i repubblicani della Camera hanno votato contro un emendamento, proposto dal democratico Rohit Khanna, che costringerebbe il DOJ a pubblicare i documenti su Epstein. Il provvedimento avrebbe costretto il Procuratore generale Pam Bondi a pubblicare tutti i documenti relativi a Epstein su un sito web accessibile al pubblico entro 30 giorni dall’emanazione del provvedimento procedurale. Khanna ha dichiarato:
Una nazione che sceglie l’impunità per i ricchi e potenti a scapito dei nostri figli è una nazione che ha perso la sua bussola morale. C’è qualcosa di marcio a Washington e qui la domanda è: da che parte state? State dalla parte del popolo? State dalla parte dei bambini americani? O state dalla parte dei ricchi e potenti che hanno manipolato il sistema e fregato gli americani per decenni?
L’amministrazione Trump continua a proteggere una rete di predatori sessuali e di ricatto dell’intelligence. Resta allora una domanda sospesa: Trump è davvero una vittima del Deep State o ha tutto l’interesse a mantenere i file Epstein lontani dalla luce per scopi prettamente personali?
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